Novembre 7, 2007 9:00 pm | a | Novembre 8, 2007 9:00 pm |
Laboratorio a cura di Roberto Mazzi
Ogni volta che si parla di Medea si pensa alla madre infanticida, all’assassina, alla pazza. Niente di più sbagliato.
La storia di Medea è molto più complessa ed interessante, è lo specchio di una donna modernissima che riflette nel dolore, come poche, la nostra contemporaneità. Medea è innanzitutto una storia di potere.
Si innamora di un uomo, Giasone, che rappresenta, per il tempo, l’eccellenza della forza, della bellezza, dell’audacia, dell’intelligenza, dell’ambizione e con lui stringe un patto.
L’origine di Medea è arcaica, antica, proviene da un paese barbaro, dove la magia e il rito, la tradizioni e le regole sono ancora quelle primordiali e Giasone, giunto in quelle terre per un viaggio memorabile, la conquista di un simbolo di potere rappresentato dal Vello d’Oro, rappresenta per lei la possibilità di una vita nuova. Fa di tutto per aiutarlo nella sua impresa per la conquista di un ruolo di governo e di potere, sostenendo, senza scrupoli, la sua scalata, con gesti estremi che rappresentano la sua assoluta dedizione, la sua incondizionata fiducia, il suo irrevocabile amore. Crede in Giasone e vuole che venga riconosciuto il suo ruolo accanto a lui.
Lei principessa barbara, maga, testimone di un mondo, di una cultura arcaica, che sta scomparendo e lui, il campione, l’eccellenza del mondo nuovo, moderno che si sta dando nuove regole per rinnovarsi, un mondo in cui sta nascendo la prima democrazia.
Lei la straniera, l’extracomunitaria e lui l’uomo di punta della società in ascesa e trasformazione. Hanno due figli, segno, testimoni del loro amore e del loro patto. Vivono relegati a causa della sua fama di diversa, di straniera, fuori delle città, esclusi per lo scandalo della loro unione dalla comunità.
Giasone riceve da Creonte re di Corinto una proposta allettante, alla quale è davvero difficile rinunciare. Sposare sua figlia Glauce e prendere la guida di quella regione, deve però rinunciare a Medea ed ai suoi figli. Giasone non ha dubbi, la sua scelta è solo politica ed esattamente per questo crede che Medea lo possa comprendere. Il testo modernissimo di Euripide, rappresentato nel 431 a.c., inizia a questo punto ed è tutto centrato in una infinita straziata riflessione sull’abbandono. Medea è ferita a morte dalla scelta di Giasone, si tormenta nella ricerca disperata di un sollievo al suo strazio, ma sin dall’inizio è chiaro che non c’è soluzione.
È una donna umiliata, ripudiata, usata ed ora, come scomoda testimone, allontanata, tradita non solo o tanto a causa di un’altra donna, che ha così poca importanza che nel testo non viene mai citata per nome, ma tradita nella fede di quel progetto condiviso di potere, segnato da un patto di sangue e consacrato con la nascita di due figli. E se il tradimento è completo tutto quello che lo sta a testimoniare deve essere cancellato, la causa, Creonte e Glauce, e infine Giasone, al quale salva la vita per condannarlo ad un dolore interminabile, sopravvivere alla morte dei suoi figli. Sa che così facendo condanna anche se stessa alla stessa pena, ma non ha scampo. Ha cercato di farsi accettare in un mondo nuovo, come straniera, come portatrice e testimone di una cultura diversa, ha operato e sperato per un ambizioso progetto di riscatto sociale per se ed I suoi figli ed il suo orgoglio non riesce ad accettare l’esclusione e la sconfitta.
I figli di Medea e Giasone sono meticci e sono la testimonianza concreta non solo di un progetto ambizioso ma anche di un processo di integrazione, tollerati, ma pronti ad essere eliminati e sacrificati ad una nuova logica di potere. Li ucciderà Medea, uccidendo nello stesso tempo se stessa, negando ad altri la possibilità di farlo o a Giasone di strapparli via da lei.
I dialoghi incessanti con Giasone sembrano le dispute di una odierna separazione, la tutela dei figli, gli alimenti, le reciproche accuse per quello che si è fatto l’una per l’altro, le offese per le frenesie sessuali per una donna più giovane… ed I fatti gli stessi di odierne infinite tragedie della solitudine e dell’abbandono. Euripide con un linguaggio modernissimo espone I fatti ed indaga nei sentimenti più tormentati, non esprime giudizi, lascia aperte strade dove le ragioni si possono incontrare e I bisogni si scontrano. Esplora il sistema delle relazioni attraverso I tormenti dell’animo di una donna, estremizzandone ogni azione, tocca argomenti scabrosi con una sensibilità poetica ed umana di eccezionale levatura. Lascia Medea da sola, senza un aiuto per potersi confrontare, per potersi sfogare e fa scorrere I pensieri di lei in un infinito monologo interiore. Medea si rivolge alle donne di Corinto cercando conforto al suo tormento, accompagnandole, come in un processo catartico e fino alla tragedia, a condividere ogni sua folle scelta. Come se il solo fatto di essere donna potesse giustificare anche le azioni più estreme, quando si è aggredite dall’arroganza del potere e annullate nella dignità e nell’orgoglio. Dice alla sua nutrice affermando la sua totale complicità, “…non dire nulla delle mie decisioni, se ami davvero la tua signora e sei una donna”.
Il nostro gruppo di lavoro, che ha visto la partecipazione di 32 donne, ha lavorato per circa un anno sui testi analizzando ogni aspetto dell’attualità dell’opera di Euripide.
Più che la storia di un’infanticida vendicatrice è emersa la vicenda di una donna ambiziosa e di potere, di un progetto fallito di integrazione e soprattutto il dramma della solitudine e dell’abbandono.
Medea, oltre tutto, è una donna acutamente intelligente e le sue riflessioni ancora oggi aprono squarci nella coscienze. È una donna che non si può amare ne tanto meno condannare, uno specchio impietoso e crudele del nostro presente. A 10 anni dalla fondazione della compagnia, lo spettacolo è dedicato a tutte le amiche che ci hanno accompagnato in questa straordinaria esperienza e ci hanno lasciato.